A scuola di Potere
Il mondo ruota attorno a due parole: Amore e Potere.
Sono le due forze, le due chiavi, i due démoni che generano le azioni,
le scelte. E le fortune dei tempi e quelle di ciascun essere umano
dipendono da esse. Oggi ci occupiamo del secondo, del potere. E se per
Fedro, ne La rana scoppiata e il bue, “voler imitare il potente per il
miserabile è la rovina”, per l’economista J.K. Galbrigth “più
l’esercizio di un qualsiasi potere è antico tanto più sarà benevolo;
invece quanto più è recente tanto più sarà innaturale e pericoloso”.
Insomma, l’esercizio del potere si impara e potere sembra una parola
facile, intuitiva. Non è proprio così. Potere, infatti, significa
possibilità. E non, come invece viene percepito, predominio, abuso,
vantaggio e via maledicendo.
Dunque, possibilità. Di fare, di non fare, di impedire, di suscitare.
Insomma possibilità di intervenire nella vita, propria e altrui. E
ciascuno, ognuno di noi, ha un potere, ne esercita uno più o meno
importante, ma certamente caratterizzante. Il potere del ciabattino,
quello dello spazzino, quello del medico, quello del burocrate, del
giornalista, dell’insegnante, del magistrato, del politico. Ciascuno il
suo. E più è gratificante più lo sentiamo coincidere con la nostra
identità e ci leghiamo ad esso. Spesso, invece, ciò che possiamo, il
nostro potere, non soltanto non coincide con le nostre capacità, ma ci
perviene grazie a strade non di merito bensì di astuzia. Ci troviamo,
quindi, ad esercitare un complesso di “possibilità” a cui siamo poco
adatti e di cui siamo perfino indegni.
Accade spesso e più distanza c’è tra il potere esercitato e chi lo detiene,
più quest’ultimo vi si abbarbica e se lo difende con ogni mezzo. E dire
che la vita invece è altro, è armonia ed è la Natura che ce lo insegna.
Dunque? Dunque sarebbe necessario che l’esercizio del potere degli
uomini entrasse nell’armonia complessiva della Natura, della vita. Come
tra gli animali, che non fingono, non esagerano, non mistificano, ma
esercitano ciascuno la propria indole, la propria forza, le proprie
caratteristiche naturali, cioè vere e quindi armoniose. Sembra
un’utopia. Anzi lo è. A meno che… Ho una proposta, faticosa. Io credo
che, dopo gli studi e gli addestramenti necessari, si dovrebbe inserire
tra le materie scolastiche l’esercizio del potere. Accanto a leggere,
scrivere e far di conto, si dovrebbe inserire l’esercizio del potere.
Dalla quarta elementare in poi, sino al diploma, i ragazzi dovrebbero
formarsi alla conoscenza di sé, alla individuazione delle proprie
caratteristiche, alla armonizzazione tra queste ed il fare nella vita.
Ma poiché non sempre né spesso la funzione esercitata
coincide con le vere capacità di chi ne dispone, si dovrebbe essere
addestrati a disciplinare il proprio rapporto con il fare, a riconoscere
ciò che è nostro perché lo possediamo nel profondo e ciò di cui invece
siamo soltanto i gestori temporanei. Certo, un’Italia così, con
un’armoniosa gestione di ogni potere, sarebbe veramente il Paese
migliore del mondo. Coraggio dunque, legislatori presenti e futuri.
Prima si comincia e prima si va a regime d’armonia. Una quarantina
d’anni dovrebbe bastare.
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